L’opera appare del tutto tradizionale a prima vista: magnifico melodismo in cui i motivi legati ai diversi personaggi ricorrono per scolpire le diverse fasi dell’intreccio; un canto verista di forza temprato tuttavia da un’eleganza ancora belcantistica; una Primadonna soprano corteggiata da un Conte tenore e un saporito stuolo di comprimari i cui numeri leggeri si intrecciano con sapiente contrappunto al dramma principale. Eppure Adriana è un’opera davvero nuova e, nonostante si intuisca il profondo amore per la tradizione che anima Cilea, ciò che colpisce maggiormente è l’originale cambio di prospettiva di cui è portatrice.
Cilea non cerca lontano e non esplora atmosfere esotiche; rimane invece nel luogo in cui è sempre stato, che ama e conosce meglio di ogni altro: il TEATRO!
Egli però si gira su se stesso e guarda dietro alle proprie spalle a ciò che abitualmente rimane nascosto: Adriana Lecouvreur è un’opera ambientata backstage!
Con un gesto memore della Commedia dell’Arte, Cilea mette in scena le quinte buie, i camerini ed il loro odore, l’eccitazione che precede il sipario, le battute sarcastiche di una compagnia di attori, le gerarchie e le dinamiche di quel underground che sta aldilà della scena.
L’intera opera è sospesa tra finzione e realtà, tra recitazione e vita autentica.
La protagonista entra in scena appunto provando le battute di un monologo, poi accoglie il suo amato tra una chiamata e l’altra in camerino e in seguito la vediamo attraverso gli occhi e le ansie di Michonet, il direttore di scena, che la segue con apprensione origliando dal retro. Adriana mette e toglie la maschera di continuo, sale e scende dal palcoscenico del teatro per salire e scendere da quello della vita; fino al momento culminante della sua vicenda, in cui queste due dimensioni collidono: il terzo atto. Adriana, qui ospite in società, affronta la sua rivale prima con allusioni che fanno crescere la curiosità degli astanti - a tutti gli effetti un pubblico, una platea – e poi, recitando il monologo dallaFedra di Racine, la sfida apertamente. Adriana si immedesima qui a tal punto nella propria maschera da trascendere i limiti della recitazione; la finzione è diventata più autentica della vita vera. Questo corto circuito è il punto di non ritorno e apre la strada al dramma inevitabile del quarto atto.
Adriana è senz’altro la protagonista vocale dell’opera ma, in questa prospettiva drammaturgica, il perno centrale è invece proprio il baritono Michonet! Cilea gli dedica le pagine più originali: egli è il re della scena quando il sipario è abbassato ed è dunque il vero demiurgo dell’intera vicenda. Michonet non a caso vive, musicalmente parlando, sempre sui temi di altri personaggi; egli vive di luce riflessa e canta su melodie altrui. Vi è un solo tema – in ¾ - che appare legato in modo specifico a Michonet: è un tema che esprime indecisione, slancio represso, attesa ed è spesso usato come transizione tra altri temi. Michonet è l’uomo che il pubblico non conoscerà mai, l’uomo il cui amore impossibile non potrà mai compiersi; il direttore di scena che sa i segreti di tutti e di cui nessuno sa nulla. Michonet non ha una propria maschera, egli non compie gesta eroiche come Maurizio e nemmeno recita come Adriana,egli vive nella realtà preparando e porgendo le maschere agli altri.
Michonet è l’alter ego di Cilea e non finge mai: i suoi sentimenti sono i più genuini - “E rido e piango e sogno!” - e le sue parole, prima dell’Intermezzo del secondo atto, sono un omaggio all’antica e misconosciuta nobiltà di chi vive nel teatro e per il teatro: “Noi siam povera gente, lasciam scherzare i grandi… non ci si lucra niente!”